domenica 4 aprile 2010
Nucleare: le 5 menzogne da smontare
Scritto da Leonardo Mazzei
Domenica 28 Febbraio 2010 20:19
Due notiziole hanno riproposto negli ultimi giorni la questione del
nucleare. La prima viene dagli Stati Uniti, dove il Senato del Vermont ha
votato, per ragioni di sicurezza, la chiusura del suo reattore atomico nel
marzo del 2012. La seconda viene dall’Italia, dove il ministro
dell’istruzione Gelmini ha annunciato un programma per spiegare agli
studenti la bontà dell’energia atomica.
Da una parte la realtà del nucleare che, nonostante i giganteschi sforzi
della lobby che lo sostiene, proprio non ce la fa a rendersi credibile
specie per quanto riguarda la sicurezza; dall’altra una propaganda odiosa
quanto priva di veri argomenti. Ma siccome la propaganda c’è e non bada a
spese, può essere utile concentrarsi sulle principali menzogne utilizzate
dai sostenitori del nucleare.
Menzogna n° 1: il nucleare è pulito e sicuro
Da decenni ascoltiamo la favola del «nucleare pulito e sicuro», un obiettivo
sempre rimandato ai «reattori di nuova generazione», ammettendo così
implicitamente l’insicurezza di quelli già esistenti, sulla cui sicurezza si
era in precedenza giurato. Basterebbe riflettere su questo giochino, fondato
sul credo delle infinite possibilità della tecnologia, per comprendere
portata e natura dell’imbroglio atomico.
«Pulito e sicuro» è stata anche la formula magica utilizzata 10 giorni fa da
Obama (il «verde» Obama...) per annunciare la ripartenza del programma
nucleare negli Usa con un apposito prestito federale – chissà perché le
centrali nucleari debbano essere sempre finanziate con denaro pubblico! –
per due nuovi reattori nella centrale di Augusta in Georgia. In realtà, due
nuovi reattori in un paese che ne possiede 104, e che non ne commissiona di
nuovi dal 1978, è praticamente niente, ma tanto è bastato per far esultare
gli ultras del partito dell’atomo.
Ma come si presenta oggi la questione della sicurezza?
Per rispondere conviene partire proprio dal Vermont. La decisione di
chiudere il reattore Yankee (così si chiama) nasce dalle periodiche perdite
di materiale radioattivo. La società proprietaria della centrale, la Entergy
di New Orleans, aveva negato davanti al parlamento del Vermont l’esistenza
delle fughe conseguenti ad un guasto avvenuto nel 2007, ma per sua sfortuna
fu abbondantemente smentita dai test successivamente effettuati. Oggi, di
fronte all’evidenza, la Entergy ammette quel che prima aveva spudoratamente
negato. Scarica la colpa su alcuni funzionari negligenti, prontamente
licenziati, ed assicura che oggi il reattore funziona perfettamente e che
non può che far del bene ai boschi del Vermont.
Ci siamo soffermati su questo caso non solo perché l’ultimo della serie, ma
soprattutto perché emblematico del meccanismo della menzogna che
caratterizza la gestione del nucleare in tutto il mondo. Un meccanismo
basato sul circolo: negazione degli incidenti, parziale ammissione quando si
è scoperti, rassicurazione per il futuro.
Questo meccanismo è stato usato sistematicamente in occasione di decine di
incidenti in Francia, in Gran Bretagna ed in altri paesi. Possiamo citare
gli innumerevoli incidenti che costellarono l’estate 2008 in Francia, nel
più grave dei quali – avvenuto nell’impianto di Tricastin – si raggiunsero
valori di radioattività nell’ambiente superiori di 130 volte alla soglia di
sicurezza. Oppure quello della centrale slovena di Krsko. O quelli nelle
centrali inglesi, nelle cui zone circostanti è da tempo accertato un
significativo aumento delle leucemie.
Ma parlando di sicurezza bisogna sempre ricordare la catastrofe di Chernobyl
(aprile 1986) a causa della quale si calcolano oggi decine di migliaia di
morti per tumore, mentre la contaminazione del territorio farà sentire i
suoi effetti per un tempo lunghissimo. Come bisogna ricordare l’incidente di
Three Mile Island (Usa) dove nel 1979 si arrivò ad un passo da un disastro
ancora più grave di quello di Chernobyl, e dove comunque negli anni
successivi si è registrato un picco di tumori tra gli abitanti della zona.
Ma qualcuno potrebbe pensare che questi incidenti appartengano ormai al
passato, frutto delle obsolete tecnologie del secolo scorso. A parte il
fatto che la tecnologia nucleare non è poi cambiata molto, e non a caso i
problemi che si presentano sono più o meno sempre gli stessi, bisognerebbe
riflettere su quanto accaduto nella centrale giapponese di Kashiwazaki nel
luglio 2007.
Non stiamo parlando di un impianto qualsiasi, ma della centrale atomica più
grande del mondo (8.000 MW di potenza). E non stiamo parlando di un paese
qualsiasi, bensì del Giappone, sempre portato ad esempio dal punto di vista
tecnologico. E portato ad esempio in particolare per la prevenzione sismica.
Eppure fu proprio un terremoto, peraltro di intensità assai inferiore
rispetto a quello ipotizzato nei calcoli di progetto della centrale, a
provocare perdite radioattive, incendi ed altri guasti che portarono alla
chiusura dell’impianto.
Hanno niente da dire su Kashiwazaki i nostrani fautori dell’atomo? Se ne
parlerà nella scuola gelminiana? Ovviamente no, dato che lo scopo sarà
semplicemente quello di indottrinare. Eppure basterebbe citare il sintetico
commento dell’AIEA (Agenzia Internazionale dell’Energia Atomica) secondo cui
sull’evento verificatosi nella centrale giapponese «non esiste esperienza né
regole per caratterizzarne con precisione gli effetti».
Incidenti a parte resta poi la gigantesca questione delle scorie. Una
questione irrisolta, non solo in Italia come si vorrebbe far credere, ma nel
mondo intero. Una questione che rimanda ad una responsabilità tremenda verso
le nuove generazioni, e che intanto costa alla collettività cifre enormi
inevitabilmente scaricate sulle bollette elettriche.
Menzogna n° 2: il nucleare risolverà i problemi energetici del pianeta
Se la trattazione del tema della sicurezza è caratterizzata dall’omertà, la
menzogna sulla capacità del nucleare di risolvere i problemi energetici del
pianeta è forse la più grossa. Se noi chiedessimo, non dico a dei passanti,
ma ad una platea di insegnanti, giornalisti, economisti e politici qual è il
contributo attuale del nucleare alla copertura del fabbisogno energetico
globale, credo che avemmo risposte abbastanza esilaranti, come se avessimo
preteso da una platea di calciatori la conoscenza della teoria della
relatività.
Eppure il dato è semplice: 6%. Dopo decenni di nucleare (la prima centrale
costruita a scopi energetici entrò in funzione in Inghilterra nel 1956), un
modestissimo sei percento. Una percentuale ferma da anni e che non sembra
proprio destinata a crescere. Gli impianti in costruzione sono infatti
pochissimi, in Europa ad esempio sono soltanto 2, a Olkiluoto in Finlandia e
a Flamanville in Normandia (progetto a cui partecipa anche l’Enel). Tenendo
anche conto dei tempi reali di costruzione, che si avvicinano in genere ai
10 anni, due reattori in costruzione a fronte dei 148 in funzione
nell’Unione Europea sono niente, ed anzi danno perfettamente l’idea di una
tecnologia oggettivamente in declino. In declino per una serie di fattori:
ambientali, economici e relativi all’effettiva disponibilità della materia
prima.
Quel che è certo è che il mondo non sta affatto andando, come invece si
vorrebbe far credere, verso il nucleare. Per comprenderlo appieno basti
pensare che la stessa IEA (International Energy Agency) prevede che nel 2030
il nucleare arrivi a coprire il 6,9% del fabbisogno mondiale di energia. E,
cosa ancor più significativa, prevede un aumento percentuale dell’energia
prodotta dall’atomo addirittura inferiore all’incremento atteso per una
fonte ormai super-sfruttata come l’idroelettrico.
E alla IEA il partito atomico ha sicuramente buoni amici, per cui non è
difficile prevedere che questi stessi dati, per quanto non certo positivi
per il nucleare, siano comunque sovrastimati.
Uno dei trucchi utilizzati per far credere ai miracoli del nucleare è quello
di confondere i consumi di energia con i consumi elettrici. E’ un trucco
grossolano, ma che funziona. Si dice allora, giusto per fare un esempio, che
la Francia ottiene dall’atomo il 78% dell’energia di cui ha bisogno, mentre
si dovrebbe dire che produce il 78% dell’energia elettrica, che corrisponde
a circa il 26% dell’energia complessivamente consumata. La percentuale di
energia consumata sotto forma di elettricità è infatti attorno ad un terzo
dei consumi complessivi. Sta di fatto, volendo rimanere all’esempio
francese, che la quantità di combustibili fossili consumati in Francia è
sostanzialmente equivalente a quella dell’Italia che dall’atomo non ricava
un solo chilowattora.
Al di là dei problemi ambientali, sanitari e della sicurezza, una delle
ragioni per cui l’energia atomica non potrà in nessun caso risolvere i
problemi energetici del pianeta è la scarsa disponibilità della materia
prima, l’uranio. E’ questo, certo non per caso, uno degli elementi più
oscurati dalla (dis)informazione corrente. Eppure, anche qui, dati
assolutamente negativi per le prospettive atomiche ci arrivano non da
qualche ambientalista affetto dalla sindrome Nimby, ma dalla AIEA, la già
citata agenzia atomica dell’ONU. Questa agenzia, che evidentemente tutto può
essere fuorché nemica del nucleare, stimava nel 2001 che le riserve di
uranio «ragionevolmente assicurate» (dunque neppure del tutto certe) fossero
sufficienti ad alimentare le centrali esistenti (escluse quindi quelle
future) per soli 35 anni.
Si può forse ritenere che le riserve effettivamente sfruttabili in futuro,
grazie alla scoperta di nuovi giacimenti, possano risultare un po’
superiori, e le proiezioni – così come avviene del resto per i combustibili
fossili – ne tengono giustamente conto. Ma da qui ad immaginare il nucleare
come soluzione ai problemi energetici ce ne corre abbastanza per rendersi
conto dell’enorme panzana che vorrebbero venderci.
Menzogna n° 3: il nucleare abbassa il costo dell’energia
E’ questa un’altra falsità ben radicata.
Per dimostrarlo partiamo da un paradosso solo apparente. Abbiamo già
accennato che il costo dello stoccaggio delle scorie finisce nelle bollette
elettriche. Bene, se per ipotesi l’Italia non avesse mai avuto centrali
nucleari quel costo (valutato in 3-4 miliardi di euro) non ci sarebbe. Altro
esempio: oltre trent’anni fa l’Enel andò ad impelagarsi nel progetto
francese del Superphénix, il cosiddetto reattore autofertilizzante che
prometteva meraviglie straordinarie. Risultato? Quel reattore non ha
praticamente mai prodotto energia ed oggi è fermo e abbandonato. Il prezzo
di quell’avventura (10 miliardi di euro) è stato interamente scaricato sul
costo del chilovattora, anche se ben pochi utenti italiani, magari convinti
invece di pagare troppo l’energia elettrica proprio perché non abbiamo
centrali atomiche in funzione, lo sanno.
Un altro aspetto sul quale si mente spudoratamente è quello del costo delle
centrali. Per una centrale con reattore EPR, prodotto dalla francese Areva,
come quelle che si vorrebbero costruire in Italia, il governo e l’ad
(amministratore delegato) dell’Enel, Fulvio Conti, parlano di un costo
unitario di 3-3,5 miliardi di euro. Secondo l’omologo tedesco di Conti, l’ad
di E.On Bernotat, il costo sarebbe invece di 6 miliardi.
Quel che è certo è che nella già citata centrale di Olkiluoto (Finlandia) i
costi inizialmente previsti sono aumentati del 77%. Questo impianto doveva
entrare in esercizio nel maggio 2009, mentre ora si prevede che ciò avverrà
nell’estate del 2012. Nel frattempo il costo è passato da 3,0 a 5,3 miliardi
di euro. Ed anche i «freddi» finlandesi hanno iniziato a surriscaldarsi,
imprecando contro il reattore EPR che tanto entusiasma Berlusconi e soci.
Ma a mettere in dubbio l’economicità del nucleare non sono solo
ambientalisti convinti e sostenitori delle energie rinnovabili. Sono anche
alcuni «mostri sacri» della finanza. Uno per tutti Citigroup, la più grande
holding di servizi finanziari del mondo, che in un recente documento
considera inaccettabili i rischi finanziari (ovviamente a Citigroup questo
interessa, e nient’altro) del nucleare.
Incertezze nella fase di costruzione, costi di realizzazione ma anche di
gestione, instabilità del prezzo dell’energia, elevati costi di
smantellamento: sono questi i fattori che portano Citigroup a sconsigliare
vivamente gli investimenti privati nel settore.
Se nucleare sarà, conferma Citigroup, esso non potrà che essere riccamente
sovvenzionato dagli stati. E per sovvenzionarlo esistono solo due modi: o
accettare un consistente aumento delle bollette (altro che riduzione!) o far
ricadere buona parte dei costi di costruzione, gestione e smantellamento
sullo stato, cioè sulla fiscalità generale, in base all’inossidabile
principio della privatizzazione dei profitti e della socializzazione delle
perdite tipico del capitalismo reale, un capitalismo che si vorrebbe
liberista ma che è invece iper-assistito.
Restano da sfatare i luoghi comuni sul prezzo del chilowattora «nucleare» di
produzione francese, importato nottetempo dall’Italia. Un chilowattora
conveniente infatti solo nelle ore notturne, per una ragione tecnica che
vedremo più precisamente al punto successivo.
Menzogna n° 4: l’Italia è obbligata ad importare energia elettrica di fonte
nucleare
L’Italia non è affatto obbligata ad importare alcunché, oggi meno che mai.
Su questo punto riprendiamo quanto scritto un anno fa (vedi Colonia
francese?).
«Si parla di dipendenza del sistema elettrico nazionale solo in virtù di
importazioni che nascono da una scelta economica non da una necessità
strutturale come i più sono indotti a credere.
L’Italia ha una potenza installata ormai vicina ai 100mila megawatt, quando
la rete elettrica nazionale ne richiede nelle punte massime 55.000.
Ovviamente non tutta la potenza installata può essere sempre disponibile,
sia per le manutenzioni, che per la stagionalità di alcune fonti primarie
come l’idroelettrico e l’eolico, ma è sicuro che l’attuale potenza
disponibile è perfettamente in grado di soddisfare tutte le esigenze
nazionali (360 miliardi di Kwh annui).
Allora perché l’Italia continua ad importare circa 40 miliardi di Kwh
all’anno dalla Francia?
Semplice, solo ed esclusivamente perché è conveniente. Ma la convenienza non
discende da un minor costo del chilowattora nucleare, ma da una rigidità
tecnica facilmente spiegabile. Gli impianti nucleari (come in generale
quelli termici) sono poco flessibili; non possono (a differenza di quelli
idroelettrici o turbogas) variare il carico di funzionamento in tempi
rapidi. Ora si da il caso che l’energia elettrica abbia la particolarità di
dover essere prodotta in tempo reale (consumo = produzione meno perdite di
rete). A differenza delle altre forme di energia non è possibile l’accumulo
e dunque un sistema elettrico come quello francese nuclearizzato al 78% la
notte, con un carico che è circa il 50% di quello diurno, si trova in
condizioni di enorme sovrapproduzione che determina una necessità di vendita
sottocosto all’estero. Ed infatti l’Italia importa dalla Francia
essenzialmente di notte (utilizzando fra l’altro l’energia a basso costo per
ricaricare i bacini idroelettrici che funzionano a pompaggio), non di giorno
quando la curva del carico di rete è massima, a dimostrazione che il sistema
nazionale sarebbe perfettamente in grado di fare a meno delle importazioni».
Menzogna n° 5: solo il nucleare, non le energie rinnovabili, può sostituire
i combustibili fossili
La questione della sostituzione dei combustibili fossili è certamente molto
seria. Sostituire petrolio, carbone e gas con altre fonti è assolutamente
necessario, indipendentemente da ogni considerazione ambientale, per il
semplice motivo che si tratta di risorse finite il cui esaurimento potrà
essere rimandato ma non evitato. Pensare di affrontare questa questione
gigantesca senza mettere in discussione il modello energivoro attuale è pura
follia. La conferenza sul clima di Copenaghen è lì a ricordarcelo.
In ogni caso il petrolio è sempre meno utilizzato per produrre energia
elettrica. In Italia siamo passati da una quota del 64% sul totale del
settore termoelettrico nel 1994, ad una percentuale del 7,4 nel 2007, e la
tendenza è ancora verso il calo. La quota del carbone, soprattutto in virtù
della grande disponibilità di questa fonte primaria, è invece in aumento e
nel 2007 copriva il 16,5% della produzione termoelettrica (che, a sua volta
rappresenta circa il 73% dei consumi nazionali). Ma il combustibile che sta
davvero spadroneggiando è il gas naturale, che in un quindicennio ha
praticamente sostituito il petrolio, arrivando ormai ai due terzi
dell’intera produzione termoelettrica.
Naturalmente, vale qui la banalissima considerazione già fatta al punto 2:
una cosa sono i consumi elettrici, altra cosa i consumi energetici nel loro
insieme. Ma, parlando di nucleare è doveroso fermarsi al settore elettrico e
questo è già un suo limite evidentissimo. Infatti, mentre l’energia nucleare
può essere soltanto trasformata in energia elettrica, usiamo tutti i giorni
il gas ed i derivati del petrolio anche per viaggiare e riscaldarci. Questo
limite del nucleare – al di là del problema dell’esaurimento dell’uranio –
esclude a priori l’energia atomica come sostituto dei combustibili fossili.
Si dirà che questo svantaggio rispetto alle fonti tradizionali caratterizza
anche le energie rinnovabili.
In larga parte è vero, ma non del tutto, dato che l’energia solare può
essere utilizzata anche per usi domestici non elettrici.
Il punto decisivo però non è questo. L’elemento che farà pendere la bilancia
a favore delle rinnovabili è proprio quello della “rinnovabilità”, un
requisito che il nucleare non ha, un requisito destinato a diventare sempre
più importante. Ma c’è un altro elemento non trascurabile, quello della
localizzazione: mentre il nucleare ha bisogno di siti dalle caratteristiche
particolari (basti pensare alle enormi quantità d’acqua necessarie), le
rinnovabili possono essere impiantate in maniera diffusa, presentando in
genere un impatto ambientale abbastanza modesto, anche se non nullo.
Infine l’aspetto economico. Abbiamo visto come Citigroup sconsigli ai
privati di investire nel nucleare per i rischi finanziari che ciò comporta,
rischi che sono enormemente più bassi nel settore delle rinnovabili.
Si dirà che ad oggi le rinnovabili vivono largamente grazie alle
incentivazioni (in Italia i cosiddetti “Certificati Verdi”). E’ vero, anche
se non del tutto, ma abbiamo già ricordato che lo stesso nucleare sarebbe
impensabile senza copiose sovvenzioni pubbliche.
Quel che è certo è che nel 2008 gli investimenti mondiali nel campo delle
rinnovabili (140 miliardi di dollari) hanno superato per la prima volta
quelli nelle fonti tradizionali (110 miliardi di dollari) e che tali
investimenti sono quadruplicati in 4 anni.
Naturalmente i capitalisti che investono sulle rinnovabili guardano al
profitto esattamente come quelli che lo fanno sulle fonti tradizionali (sul
nucleare abbiamo visto che ormai non lo fa praticamente più nessuno), e da
questo punto di vista non sono né «migliori» né «peggiori» dei loro
colleghi. Tutto lascia però pensare che siano semplicemente più «realisti».
Ed il fatto che stiano ormai prevalendo è un altro dato che ci conferma che
non sarà certo il nucleare la vera alternativa ai combustibili fossili.
Brevi conclusioni (con un occhio soprattutto all’Italia)
Ma allora, se anche i capitalisti preferiscono di gran lunga investire sulle
rinnovabili anziché nel nucleare, perché la lobby atomica ha rialzato così
potentemente la testa?
In generale, il fatto è che il capitalismo ha bisogno come l’aria di nuovi
settori (o di riattivarne di «vecchi», il che fa lo stesso) in cui
sviluppare il business. Il sistema non può accettare una situazione di
stagnazione, o peggio di recessione come l’attuale. Gli affari verranno non
dall’astratta redditività di mercato, ma dalle speculazioni collaterali che
il nucleare più di altri settori consente. Questa logica speculativa è tanto
più forte nei momenti di crisi. Ecco allora il rilancio operato da Obama,
anche se per ora piuttosto modesto in termini concreti, attraverso il
grimaldello di una pretesa green economy che paradossalmente (ma non dal suo
punto di vista) include proprio il nucleare.
Quel che è vero per la logica sistemica nel suo complesso è dieci volte più
vero per il famelico capitalismo italiano, sempre a caccia di grandi opere,
«eventi eccezionali», emergenze vere o preferibilmente finte. Una caccia
condotta in coppia con l’altrettanto famelico ceto politico bipartisan di
servizio.
Riflettiamo su un fatto: oggi c’è giustamente una certa attenzione
sull’indagine sulla Protezione civile relativa agli appalti per la
realizzazione del G8 alla Maddalena. Quello di cui ben pochi si occupano è
che – indipendentemente dalla regolarità degli appalti – si fosse deciso di
spendere (e si è effettivamente speso benché l’evento sia stato poi spostato
a L’Aquila) l’enormità di 400 milioni di euro per un semplice incontro
politico di un paio di giorni.
Bene, se il programma nucleare italiano dovesse davvero decollare, lo
scandalo della Maddalena non potrebbe che impallidire di fronte ad un
business cento volte più ricco.
E’ questa la conclusione? Sissignori, è questa la conclusione. Lasciate
perdere l’inesistente nucleare «pulito e sicuro», lasciate perdere i
problemi energetici nei loro aspetti tecnici, ambientali ed economici. Alla
cricca oligarchica che presiede a queste scelte tutto ciò interessa quanto
può interessare la morale ad un trafficante di droga.
Ecco perché la menzogna è la regola nella propaganda nuclearista, al punto
che diventa perfino fastidioso dover sempre replicare. Tanto ad
argomentazioni razionali si risponderà sempre e solo con la propaganda e la
falsità.
Ma non ci siamo mai nascosti una ragionevole speranza: che quando dai
proclami si passerà ai fatti, cioè alla localizzazione dei siti (vedi
articolo del 29 dicembre scorso), il gioco cambierà.
Non a caso la localizzazione è stata prudentemente rinviata a dopo le
elezioni regionali. A quel punto capiremo quale sarà la risposta delle
comunità locali più direttamente interessate e, ci auguriamo, non soltanto
la loro. Se arriverà un no forte e convinto la partita sarà tutta da
giocare.
Ed allora lo smascheramento delle menzogne atomiche potrà avere la sua
utilità
da campoantimperialista.it
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