« L’uomo è natura. Per questa ragione è impossibile pensare a quella deformazione tutta occidentale che vede l’uomo contro natura, in quanto il suo sistema capitalistico è innaturale. E’ questa una malformazione umana da trasformare. I filosofi hanno pensato il mondo, ed esso è già stato filmato, si tratta ora di trasformarlo. »
Guy Debord
« L’uomo non è il centro della vita, la misura delle cose, ma è totalmente e soltanto parte della natura. »
Zhuang Zi
Pensare di trascurare la natura identificandola come se fosse qualcosa di esterno a noi invece di qualcosa che ci pervade totalmente è un errore madornale che la natura, in eventi tragici come il terremoto in Abruzzo o in situazioni comiche come le illusioni del sole nel deserto e la beffa diplomatica insita nella storia della famigerata isola Ferdinandea apparsa e scomparsa al largo della sicilia nel 1831, dimostra la pochezza di un essere ingrato come l’uomo bianco.
In tal senso la comparazione di queste due citazioni, rispettivamente di Guy Debord e di Zhuang Zi, danno molti spunti per riflettere.
Siamo di fronte a due epoche molto distanti e due mondi estremamente diversi, l’uno europeo e l’altro cinese, uno contemporaneo e l’altro antico risalente al 400 a.c. ca., uno di matrice razionalista con i suoi limiti cognitivi di natura metafisica e l’altro di matrice taoista ed estremamente pratico e semplice nella sue affermazioni, uno tendenzialmente teorico-deduttivo e astrattista mentre l’altro estremamente empirico e naturalista, uno appartenente al mondo dell’attaccamento cognitivo della filosofia mentre l’altro è libero perchè isolato dal mondo nonchè completamente immerso in una sapienza dalle radici antiche appartenente alla tradizione antropologica cinese.
Per strade diverse questi due mondi protendono a convergere, laddove l’uno cerca di trovare riparo e correzione al suo mondo distorto, come del resto fa anche un certo filone di pensiero europeo composto da molti altri prima di lui (da Socrate a Jean Jacques Rousseau NdA), mentre il secondo non ne ha affatto bisogno in quanto la sua cultura è intrisa di complementarietà diretta con la natura, è un soggetto che appartiene ad una dimensione che, dall’avvento colonialista dell’imperialismo culturale europeo, si è dovuta confrontare ed adeguare a quel sistema sociale che, con sottile e perversa astuzia, ha vinto le forze etiche e antropologiche di quella grande terra che il buon vecchio Marco Polo chiamava Catai.
Mentre Guy Debord si inserisce contestualmente nella cultura contestatrice dell’Europa francese, con la sua iniziale appartenenza al ‘movimento situazionista’, partendo da un’analisi della realtà intrisa di concezioni di derivazione strutturalista e marxiana in relazione a ciò che oggi Immanuel Wallerstein definisce come sistema-mondo moderno, il nostro caro Zhuang Zi invece arriva a tale considerazione mediante la sua stessa essenza, mediante una sapienza che gli ha permesso di osservare la natura ‘dall’interno’, immergendosi in essa come un tutto unico, se non proprio diventando perno delle funzioni fondamentali della prosecuzione della Vita sulla Terra avvicinandosi ad una dimensione mistica che supera le attuali frequenze materialistiche che hanno invaso il mondo.
Quando il santo taoista Zhuang Zi affermava che l’uomo è parte della natura stava sottilmente non-dicendo che lui stesso vi ci è profondamente entrato e ha personalmente fatto esperienza di tale Verità, in quanto la sua originaria essenza di essere umano si è sinergicamente inserita nella natura in corpo anima e spirito, mediante la sublimazione alchemica del proprio corpo energetico e avvicinandosi a Dio fino a chissà quale distanza.
Per Zhuang Zi, la concezione di contestare il mondo non solo non era di particolare interesse ma addirittura non ne aveva bisogno, in quanto è storicamente determinato che in alcuni casi di caos sociale, energetico e ambientale certi gruppi di santi e monaci taoisti intervenivano direttamente in prima persona per guidare le masse al fine di ripristinare l’ordine e l’armonia del paese con la proclamazione di un nuovo imperatore.
Oggi non saprei cosa potrebbe pensare di fare Zhuang Zi ma di certo non starebbe con le mani in mano e da buon cinese taoista, che diventava confuciano non appena si relazionava con la società discendendo dalle sue montagne sacre, si sarebbe dato da fare per ripristinare l’antico ordine.
Infatti a differenza del pensiero euro-occidentale, che dal tempo di quell’Illuminismo borghese intriso di pensieri filosofici che scaturivano da personali interpretazioni dei diari di viaggio dei monaci Gesuiti che tornavano dalla Cina, il problema non è tanto cosa e come fare ma è il riportare l’antico ordine naturale delle cose.
Quindi siamo parte della natura ma ancora oggi, anche in chi magari cerca di affermare la stessa cosa, si può trovare qualcosa che poi lo porta a contraddirsi nei fatti, come nei pensieri e nelle azioni, in quanto persone prive di attenzione, privi della pratica di quella certa sensibilità che accosta l’umano alla realtà originaria della natura.
Se vediamo gli infanti nati da poco tempo, possiamo osservare come la loro esistenza sia semplice in quanto priva di desideri, ma intrisa soltanto di quei bisogni naturali importanti per vivere, ovvero il respirare, il bere, il mangiare, l’evacuare, il riposare, l’amare e anche il contemplare il divino, che noi non riusciamo a vedere nè a capire, in quanto l’infante vive in un mondo pieno di colori e di suoni che noi nè vediamo e nè sentiamo.
E’ la società che poi ci tradisce, ci altera, ci adultera, di trasforma pian piano in ‘adulti’ mediante l’educazione primaria della famiglia, l’educazione secondaria della società (l’istruzione) e ‘l’educazione terziaria’ delle relazioni sociali che lungo l’arco dell’esistenza incappiamo mediante esperienze sia formative che de-formative, sia positive che negative.
Non a caso un’altro ramo sapienzale cinese ci aiuta a comprendere tale dimensione quando afferma che ‘per natura gli uomini sono vicini, [ma] l’educazione li allontana’, ovvero stiamo facendo parlare il grande Kongzi, quello stesso santo cinese che i monaci gesuiti romanizzarono con il nome di Confucius, oggi denominato Confucio.
In Europa tale visione del mondo può forse complicarsi ma non se ne può inficiare il valore reale e concreto di fondo di tale impostazione.
Siamo quindi di fronte ad una alterazione della natura in termini generali, se non proprio potremmo dire ‘totali’, in quanto oggi la mercificazione dell’esistente teorizzata da Immanuel Wallerstein è un processo sociale che di volta in volta porta a far diventare merce ogni cosa, una trasformazione continua dell’esistente che ricorda la rimurginazione continua delle vacche, oppure la tessitura continua della tela del ragno, oppure ancora il castoro che incessantemente taglia gli alberi per formare dighe un pò ovunque lungo il corso del fiume.
Ma la mercificazione non è l’unico aspetto, in quanto ritengo che esso appartenga non soltanto alla dimensione illuministica della modernità borghese strutturata sulla conformazione del capitalismo storico ma va oltre in quanto è antropologicamente radicata nelle menti di ogni euro-occidentale, anche di me stesso, al punto che spesso devo porgermi attenzione interiore iniziando una sana autocritica delle mie azioni, come anche degli stessi pensieri che mi travolgono la mente in quanto, come diceva il fu Siddharta Gotama detto il Buddha, sono i pensieri creano la nostra realtà e pertanto la struttura cognitiva dei nostri stessi pensieri continuamente crea e ricrea la realtà.
Siamo di fronte ad una matrice antropologica che ci ha portato a creare mostruosità come il capitalismo storico, il colonialismo, la modernità, le ideologie, le armi atomiche e la post-modernità nel suo più alto splendore di frammentazione e relativizzazione soggettiva della realtà, al punto che oggi Zygmut Bauman ha sociologicamente definito come ‘Solitudine del cittadino globale’, come ‘Paura liquida’, come ‘Amore liquido’, ovvero una frammentazione sociale generata da uno smarrimento personale generalizzato determinato a sua volta dall’isolamento cognitivo e assolutista dell’uomo contemporaneo.
E’ un cane che si morde la coda, è un circolo vizioso da cui non si trova uscita se non in modo apparente, come tendenzialmente fanno oggi in molti, cercando maggiore privacy e lontananza dalle metropoli, cercando un maggiore contatto con la natura.
Fra l’altro mi ritrovo pienamente d’accordo con Zygmut Bauman quando sostiene che una rigenerazione etica, un rinnovamento dell’etica nella pratica della vita quotidiana, è realmente un potenziale detonatore sociale che blocca questo ciclo continuo di creazione e ricreazione della ‘normalità sociale’, in quanto la pratica costante dell’etica in un senso reale, se non proprio antico, è una dimensione che muta la realtà di fatto, a poco a poco, ma che poi ci pone anche di fronte alle avversità con cui ogni giorno dobbiamo avere a che fare, poichè l’etica è una dimensione morale che riguarda in particolare i singoli, quegli stessi che poi di volta in volta si ritrovano a relazionarsi in contesti situazionali e vibrazionali diversi per ogni dimensione sociale attraversata.
In tal senso ci viene d’aiuto, ad esempio, ancora l’etica del Buddha quando afferma che la fine dei cicli di rinascita del ‘samsara’ possono soltanto essere il frutto della pratica costante di una ‘buona attenzione’ verso il prossimo e verso ogni esistenza che ci circonda in natura, mediante l’ausilio dello studio degli insegnamenti sacri e della pratica della meditazione che ci permette un miglioramento cognitivo costante nelle nostre correlazioni sociali.
Dal punto di vista sociale ci viene in aiuto anche la sapienza del buon Confucio, come anche di un buon Gesù scevro dalle sovrastrutture metafisiche dell’Occidente che hanno ricamato la figura di un soggetto dalle molteplici e contraddittorie valenze.
Personalmente consiglio lo studio e la pratica del buddhismo Chan, che si è diffuso e anche ‘occidentalmente contorto’ nel mondo sotto la definizione giapponese di buddhismo Zen.
Detto questo, quindi, significa che non possiamo non esimarci dall’affrontare le avversità della realtà come anche di trovare correlazioni sociali con soggetti simili a tale impostazione, ma di certo riservare il giusto peso alle situazioni come anche di tornare a pensare la politica in un senso ‘pienamente morale’ o, per dirla in terminologie care al grande Confucio, in un senso dove l’integrità morale, l’onestà, il rispetto dei ‘riti’ e della legge diventano cardini a tutti i livelli sociali, e di certo così avremo una società migliore.
In merito afferma Confucio in uno dei suoi Dialoghi: «Il saggio si dedica seriamente a nove cose: quando guarda si impegna a guardare correttamente; quando ascolta si impegna a comprendere distintamente, nella sua espressione si impegna ad essere gentile, nel suo atteggiamento si impegna ad essere rispettoso, quando parla si impegna ad essere onesto, nel suo lavoro si impegna ad essere discreto, nei suoi dubbi si impegna a chiedere, preso dall’ira si impegna a considerare le pene che da essa derivano, nel considerare il proprio interesse si impegna a farlo secondo giustizia».
In questo frangente si inserisce il simile discorso di Enrico Berlinguer quando si accaniva a sostenere la famosa ‘questione morale’, anche se il senso a cui faceva riferimento il caro Enrico aveva connotazioni tipicamente occidentali facendo riferimento particolarmente alla dimensione partitocratica della sua Italia coinvolta dalle mutazioni sul sistema internazionale di Bretton Woods e dal successivo vento neoliberista di Ronald Reagan e della signora Thatcher, anni in cui prende avvio la globalizzazione economica della post-modernità di Jean-François Lyotard.
Sono certo che se la pazienza sosterrà le spinte etiche di tutte le persone di buona volontà nel loro perpetuare giustizia tutti i giorni, alla fine troveremo la strada dove ogni sforzo avrà un senso.
Buon viaggio.
Vincenzo Di Maio
Fonte : http://vincenzodimaio.wordpress.com/2011/01/09/luomo-e-parte-della-natura/#comment-16