lunedì 18 luglio 2011

Psicologia della Corruzione e Società Anarchica

Il corrotto è il grande protagonista dei nostri giorni. Tanto da occupare ormai da tempo, nei paesi sviluppati, il centro dell’attenzione collettiva. Non solo nelle cronache politiche e giudiziarie, dove naturalmente troneggia, ma anche in quelle finanziarie, militari, ecclesiastiche, accademiche.
Chi è però il corrotto, qual è la sua psicologia, come si diventa tali? Cosa favorisce la moltiplicazione dei corrotti, perché in certe epoche essi si moltiplicano, e in altre sembrano sparire?

L’osservazione empirica, sia statistica che clinica, toglie di mezzo alcuni diffusi luoghi comuni sull’argomento. Per esempio non è vero che la corruzione sia figlia delle miseria, che chi accetta di farsi corrompere lo fa per mancanza di mezzi. Questo nella realtà è piuttosto raro, mentre è molto più frequente il rapporto tra comportamenti scorretti e illegali e abbondanza di ricchezza, personale e collettiva.
Quasi sempre, è proprio nei periodi storici nei quali si sono create rapidamente notevoli ricchezze, e quindi nuove e recenti classi agiate, che si sviluppano comportamenti illegali per far crescere quei patrimoni ancora di più, sempre più in fretta.
La corruzione è, insomma, quasi sempre un comportamento che tenta di aumentare e moltiplicare una ricchezza conquistata recentemente, e senza troppa fatica. La disponibilità alla corruzione ha in sé, come dimostrano anche le cronache recenti, tratti del clima psicologico dell’euforia (tipica appunto dei “boom” economici), coi suoi caratteristici aspetti più o meno esibizionisti e mitomaniaci: l’interesse per lo star system, il mito di arrivare a camminare su qualche tipo di “red carpet”.
Appare comunque chiara, nella sottocultura della corruzione, la fatica a contenersi, a tenere qualcosa per sé, che caratterizza invece sia le situazioni di scarse disponibilità economiche, sia quelle di ricchezze costruite nel tempo, attraverso la fatica e il lavoro. Dal punto di vista psicologico e delle strutture di personalità, l’esperienza del lavoro, dello studio e della fatica tende a sviluppare quei tratti, anche morali, di introversione, e di disciplina necessari per affermare la propria posizione nel mondo, mentre il trovarsi rapidamente con ottime disponibilità di denaro svaluta sforzi e contenimenti, e predispone all’orizzonte di “facilità” che la corruzione propone.
E’ per questo che la sobrietà è un valore ed un comportamento, quasi unanimemente condiviso nei momenti di sviluppo, mentre la corruzione e l’esibizione del lusso tende poi a dilagare nei periodi immediatamente successivi, quando si tratta di “digerire” quella ricchezza, di incorporarla stabilmente sia nelle strutture produttive e politiche che nei comportamenti e nei valori condivisi. E’ allora, nell’euforia collettiva e già staccata da un solido rapporto con la realtà, che affonda le sue radici la psicologia e lo stile della corruzione.

In tutti i casi il corrotto è caratterizzato da un tratto di debolezza e dipendenza da comportamenti collettivi (consumi “di prestigio”, stili di vita reclamizzati dalle comunicazioni di massa), che rivela un vacillante senso di sé, una sostanziale incapacità a “fare da soli”, senza appunto gli aiuti forniti dalla corruzione.

Ma siamo sicuri che aumentando le pene, la corruzione diminuisca? Che ruolo hanno tutte le Autorità di Vigilanza oggi presenti nel nostro ordinamento costituzionale?
Ritengo che il solo aumento delle pene non produca alcun effetto, se non quello di alimentare il mercato della corruzione, innalzando vertiginosamente le percentuali delle mazzette, essendoci ovviamente più rischi da parte del corrotto.

Il problema può essere combattuto e stanato cambiando le regole che oggi sono utilizzate per l’affidamento di appalti di Lavori, Servizi e Forniture. In qualche misura la lotta alla corruzione deve diventare una sorta di infrastruttura civile, solida e condivisa.

Da quando esiste una struttura di potere pubblico organizzato e fino a quando esisterà, ci sarà sempre qualcuno che si lascerà tentare dalla possibilità di utilizzarlo per scopi personali più o meno commendevoli. Cancellare malaffare e corruzione pubblica è probabilmente un'utopia, ridurli a fisiologia però no.

La massa di politici e burocrati preposta alla gestione dei moderni sistemi di governo diventa un ceto autonomo che cerca di rafforzarsi anche attraverso le sue prerogative e privilegi che diventano misura di quel rafforzamento e qui si insinua potente il meccanismo della corruzione nelle sue varie forme.

Chiunque detenga spicchi anche limitati di potere sa quanto forti siano le spinte al sentirsi al di sopra di tutto, legibus solutus o, quantomeno, naturale destinatario di privilegi dati dal ruolo che si occupa. Queste spinte sono tanto più forti quanto più si sale nelle gerarchie verso livelli più distanti dal contatto diretto con la pubblica opinione e con i destinatari delle decisioni. E sono tanto più forti quanto più sono consistenti i fattori caratterizzanti l'appartenenza alle gerarchie stesse.

È un discorso che accomuna politica e burocrazia, ed è una parte della spiegazione dell'allargamento nel corso degli anni della corruzione, dal politico in senso stretto al burocrate pubblico, al militare, al magistrato e così di seguito.

Qui risiedono alcune delle ragioni per cui occorre rivedere il sistema delle prerogative di chi ha pubbliche funzioni di rappresentanza o di gestione. «Decastizzare», per usare un brutto neologismo, è indispensabile per ridurre i margini di autoreferenzialità e di opacità in cui si annidano le tentazioni corruttive.
C'è forse stato un tempo in cui il meccanismo funzionava all'opposto: ovvero le prerogative compensavano il ruolo di prestigio e allontanavano le tentazioni. Ma questo non è più vero da quando la democrazia, e quindi la politica, sono diventate di massa. Un'élite illuminata che già godeva di privilegi nella propria vita privata e professionale poteva permettersi di limitarsi a trasferirli nella vita pubblica, in alcuni casi addirittura rinunciando a qualcosa.
Berlinguer parlava di questione morale nei partiti. Qui la questione morale è organica al sistema, pervade tutte le sfere pubbliche, ed è probabilmente già diventata uno dei fattori di debolezza della capacità competitiva. Per questo forse la riforma della politica dovrebbe essere la madre di tutte le riforme. Ma è l'unica che non si può imporre per legge.

Nella maggior parte dei casi è la presenza di una gerarchia a provocare la corruzione. Una società anarchica fondata su un'organizzazione sociale orizzontale, che vuole basarsi sul libero accordo, sulla solidarietà, sulle libere associazioni, sulle unioni, sul rispetto per la singola individualità, si presenta, a livello teorico, come idea di Società ideale, in quanto considera l'essere evoluto, intelligente e responsabile a tal punto da non aver bisogno di leggi, quindi non avrebbe nessun interesse a corrompere o non subirebbe il rischio di essere corrotto.


In una società anarchica, si distingue nettamente l'organizzazione da potere, autorità e gerarchia. Partendo dal fatto che potere, autorità e gerarchia danno una libertà e una giustizia illusorie, perché sono fondati proprio sul contrario della libertà e proprio sul contrario della giustizia, in una società anarchica si segue il filo d'Arianna dell'antiautoritarismo verso ipotesi organizzative di vita in comune, che permettano una sempre maggiore realizzazione delle potenzialità individuali e collettive.

Gli anarchici prendono le decisioni comuni in maniera assembleare in cui si mira a raggiungere l'unanimità su ogni decisione. Unanimità non significa essere tutti completamente d'accordo su qualcosa, ma trovare una sintesi tra le varie posizioni che non prevarichi nessuno.

La maggioranza non ha dunque alcun potere sulle minoranze. È quindi fondamentale l'orizzontalità del gruppo, cioè l'assenza di gerarchie.

I problemi sociali come il crimine e l'ignoranza e l'apatia delle masse sono un prodotto della stessa società autoritaria: mantenere gli individui perennemente sotto un'autorità superiore fa sì che questi non siano più capaci di comportarsi autonomamente, senza un capo che gli comandi cosa fare; inoltre qualsiasi capo cercherà sempre di mantenere il proprio potere, e quindi cercherà il più possibile di rendere i sottoposti non autonomi, e di creare bisogni negli stessi sottoposti (come la necessità di protezione dal crimine); di conseguenza lo Stato non ha alcun reale interesse a risolvere i problemi sociali, perché altrimenti verrebbe meno il bisogno del potere. Chi più dello Stato è corrotto?!? Lo Stato è già di per sè corrotto e finchè continuerà a perdurare un sistema autoritario, la corruzione non si estinguerà mai.

Fonte : http://claudiorise.blogsome.com/
http://www.lettera43.it/

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