mercoledì 31 marzo 2010
Il cibo spazzatura crea una dipendenza simile a quella da nicotina e droga
29 marzo 2010
Hamburger, patatine fritte, merendine dolci, ossia il cibo-spazzatura, crea
una dipendenza simile a quella da nicotina e droga.
È quanto ha scoperto un'équipe di ricercatori Usa che ha rivelato su 'Nature
Neuroscience' i meccanismi che danno vita al vincolo e a vere e proprie
crisi di astinenza quando si cerca di smettere di mangiare i piatti più
saporiti ma meno salutari.
Gli autori della ricerca, Paul Johnson e Paul Kenny, dell'Istituto Scripps a
Jupiter in Florida, lo hanno dimostrato trasformando ratti di laboratorio in
consumatori compulsivi di cibi-spazzatura. Hanno osservato così che, come
nella dipendenza da fumo e droga, anche in quella dal cibo-spazzatura si
indebolisce l'attivazione dei circuiti cerebrali della ricompensa, che in
condizioni normali scattano immediatamente quando si vive un'esperienza
piacevole. Alle cavie sono state date bacon, salsicce, dolci e cioccolato.
Gli animali hanno così gradito il nuovo cibo che sono rapidamente
ingrassati. In poco tempo è precipitata la loro sensibilità alla ricompensa,
proprio come avviene in chi è dipendente da droghe. I ricercatori hanno
anche appurato che nei ratti come nell'uomo, la dipendenza impedisce di
interrompere l'assunzione di una sostanza anche quando è chiaro che questa è
pericolosa per la salute.
Hanno così associato il consumo dei cibi ipercalorici alla comparsa di un
segnale luminoso e a un dolore ad una zampa: non appena si accendeva la luce
i ratti normali rinunciavano volentieri allo stuzzichino pur di non provare
dolore, mentre i ratti obesi e dipendenti continuavano a mangiare.
Fonte: salute.agi.it
Io lo sostengo da anni, senza essere un ricercatore incamiciato di bianco e senza la necessità di dover chiudere in gabbia alcun topolino...
La pizza, le patatine fritte, i dolcini, la coca cola sono tutte, a mio avviso, delle droghe. Cibo che toglie la fame (per qualche istante) ma che non nutre e mai potrà nutrire. Non riconosciuto dal corpo che non lo assimila, lo deposita facendo aumentare di volume il drogato inconsapevole di turno. Fermenta al nostro interno, inacidisce e con questi processi inacidisce anche il mal capitato (ovverro il 90 % della popolazione occidentale) . La pelle invecchia, gli organi si contorgono, le vene si ostruiscono, il sangue è carente di ossigeno, il fiato si fa corto prima e inesistente poi, si muore ogni giorno di un lento suicidio autoindotto, il "lento suicidio del coglione".
giovedì 18 marzo 2010
Vale la pena!
Per poter partecipare al mondo invisibile occorrono senza dubbio dei requisiti minimi:
- pace e tranquillità interiore;
- tanto tanto silenzio dentro e fuori noi stessi;
- salute fisica, mentale ed emotiva;
- dedizione costante nella studio e nelle pratica di tutte quelle discipline che ci aiutano ad evolvere;
Ma parlo delle masse non certo dei tanti che ci sono, per fortuna, che hanno imparato a gustare la Vita, che sanno ancora ritagliarsi spaazi propri di pura ecologia interiore.
A queste persone capiterà pure almeno una volta nella vita di intravedere qualcosa che ai più è nascosta. E a voi chiedo, non vale forse la pena? sebbene si sia vissuto anche solo un attimo di rivelazione, dedicarsi a pieno a scoprire quel mondo di miracoli che resta appena velato accanto a noi?
Penso di si! ne vale la pena.
Immagino che oggi appaia normale camminare retti, eppure se giocando con la fantasia, immaginassimo un mondo dove i nostri antenati camminavano reclini su se stessi, goffi ed abbruttiti, ed un giorno, uno di essi si fosse anche solo per un attimo retto in piedi ...
un attimo solo perchè i suoi muscoli non era pronti a sotenere quella posizione..., ma in quell'attimo quanto sarebbe cambiato in quell'essere, un punto di vista nuovo, una prospettiva diversa.
Avrebbe potuto fare finta di nulla e continuare nella sua condizione ? oppure, avrebbe potuto voler provare a stare nuovamente retto?
Oggi c'è richiesto di dedicare i nostri sforzi a scoprire una nuova prospettiva ancora una volta.
Se anche solo una volta, nella vostra vita, avete vissuto un'attimo di vera beatidune, chiedevi cosa sia quello stato, cercatelo di nuovo, andategli incontro senza pensare più del dovuto ai pesi che la società vi impone.
Per voi che adesso state retti, in palio vi sono delle splendide ali per volare, per gli altri forse, il ritorno ad uno stato di goffo abbruttimento.
Scegliete la vostra migliore prospettiva e... vivetela.
martedì 16 marzo 2010
Vegan Gladiator
Ci sono varie fonti che raccontano dell’alimentazione dei gladiatori romani. Si racconta che essi si nutrivano prevalentemente con focacce d’orzo e olio. Nel “De bello gallico”, Giulio Cesare afferma che i soldati romani erano mangiatori di farro. Pare inoltre che i soldati romani mangiassero grosse quantità di aglio (ma secondo altre fonti anche cipolla) prima dei combattimenti credendolo capace di trasmettere vigore. Agli schiavi incatenati e ai soldati romani venivano distribuiti o 1 kg e 300 g di pane al giorno o fichi e 262 litri di vino all'anno; a tale nutrimento si aggiungevano bulbi di piante, cipolle, rape ed altre radici, leguminose e verdure fresche a seconda della stagione. Gli atleti greci vincitori nelle Olimpiadi dell’antichità, si alimentavano invece con nocciole, fichi, e granturco.
Gli antichi gladiatori romani erano, dunque, vegetariani. Ora però a conferma di questa tesi c’è anche la scienza. La scoperta è merito di studiosi austriaci che si sono recati sulla costa occidentale della Turchia, dove un tempo sorgeva la citta' di Efeso. Il cimitero dei gladiatori presente in quella zona è l’unico al mondo, e gli scavi portano alla luce i resti di circa 60 uomini. Karl Grossschmit, dell'Istituto di istologia ed embriologia della facolta' di Medicina dell'universita' di Vienna, spiega come dalle prime analisi sulle ossa rinvenute, ''risultano conferme all'ipotesi che i gladiatori fossero vegetariani''. I gladiatori, dunque, si nutrivano di fagioli, verdure e alcuni tipi di frutta.
lunedì 15 marzo 2010
Primavera
Il serpente che si mangia la coda rappresenta la ciclicità del tempo e il tempo è una delle dimensioni attraverso la quale la creazione si manifesta!
Ogni giorno il Sole apparentemente si muove nel cielo: sorge a oriente, raggiunge la massima altezza a mezzodì a sud e tramonta a occidente. Noi italiani viviamo in una parte della Terra sufficientemente lontana dall'equatore da poter osservare con facilità il fenomeno dell'alternarsi delle stagioni. Durante l'anno i punti di levata e di tramonto del Sole si spostano sulla linea dell'orizzonte oscillando tra due estremi.
“In passato c’era un tempo prestabilito per ogni cosa. Si coltivava in un certo mese o stagione, ed un mese particolare era fissato per il raccolto. In quei tempi non c’erano pozzi artificiali. I contadini dipendevano solo dall’acqua e dal sole che la Natura benignamente concedeva. La gente viveva in armonia con la Natura e non provava mai a sfidarla. Essa perciò gli era sempre di aiuto e amica. La gente aveva completa fiducia che sarebbe piovuto se si fosse seminato in un particolare tempo del mese.... L’uomo e la Natura sono interdipendenti.... Quando l’uomo sfrutta la Natura, il suo ritmo è perduto. Siamo giustificati se prendiamo dalla terra ciò di cui abbiamo bisogno ma è nostra responsabilità garantire che il ritmo e l’armonia della Natura non vadano persi!“
Nel giorno del Solstizio d'Inverno, intorno al 21 Dicembre, il dì più corto dell'anno, il Sole sorge a Sud-Est e tramonta a Sud-Ovest, la sua corsa nel cielo è la più bassa e la più breve dell'anno.
Nel giorno del Solstizio d'Estate, intorno al 21 Giugno, il dì più lungo dell'anno, il Sole sorge a Nord-Est e tramonta a Nord-Ovest, la sua corsa nel cielo è la più alta e la più lunga. Nei giorni dei due Equinozi di Primavera, intorno al 21 Marzo, e d'Autunno, intorno al 21 Settembre, il Sole sorge esattamente a Est e tramonta esattamente a Ovest, la sua corsa nel cielo corrisponde all'Equatore Celeste e la notte e il dì hanno la stessa identica durata.Ognuno di questi speciali giorni è stato da sempre celebrato e utilizzato per orientarsi nello spazio e nel tempo dai popoli che vivono lontani da equatore e tropici nelle zone temperate e circumpolari. Queste feste si sono conservate fino a oggi: Natale, Pasqua, Corpus Domini, Ognissanti sono la trasposizione Cristiana di antichissimi riti. Lo spirito degli antichi celebrava in questi giorni i cardini dello scorrere ciclico del tempo, la benevolenza della Natura sempre capace di rinascere dopo la morte, la capacità degli uomini di intervenire nei cicli naturali, la gratitudine per i doni ricevuti e la speranza, l'auspicio per gli avvenimenti futuri...
lunedì 8 marzo 2010
Rei
Rei.
Nella terra del Sol levante, questo termine designa una virtù fondamentale. Di solito esso viene tradotto con “etichetta”, “cortesia”, oppure con “saluto”, “riverenza”. Nel mondo delle arti marziali giapponesi (come vedremo in seguito) è conosciuto e praticato nell’ultimo significato.
Storicamente, il Rei arriva in Giappone - e si innesta sulle arti praticate nelle scuole sacerdotali e d’armi - dalla Cina, dove indica (con la pronuncia li) una delle cinque virtù confuciane assieme a jin, “benevolenza, umanità”, gi, “giustizia, correttezza”, chi, “saggezza, conoscenza” e shin, “lealtà, sincerità”.
In particolare, il li si propone come chiave di volta dell’intero agire umano: «Il fare confuciano si estrinseca attraverso l'osservanza dei riti (li), un complesso di norme che regolano i rapporti ed i comportamenti umani, indicando la strada giusta da seguire, in ogni occasione. Per ogni rapporto umano e sociale, per ogni circostanza, sono stabiliti dei riti. In particolare vengono prese in considerazione cinque relazioni sociali fondamentali alle quali, per analogia, possono essere ricondotte tutte le altre. Esse sono quelle tra principe e suddito, tra padre e figlio, tra fratello maggiore e fratello minore, tra marito e moglie e tra amico e amica . Non si tratta mai di un rapporto di parità: anche nella relazione tra amica ed amico si distingue tra quello più anziano e quello più giovane. Per ciascuna di queste relazioni furono codificate regole di comportamento rigide, limitative della libertà individuale.»
Appare evidente qui il tentativo di attivare il contatto con gli dei basandosi essenzialmente sulla perfezione formale dell’azione. In questo modo la tensione verso la perfezione si manifesta attraverso la ricerca del giusto movimento psico-fisico, frutto (ma anche causa) del corretto atteggiamento interiore.
Una tale ricerca della perfezione è assunta in pieno dal Giappone medievale in seno al codice cavalleresco (Bushido), tale quale si venne costituendo all’interno delle comunità di samurai nell’era Kamakura, alla fine del XII secolo.
Fig. 1 | Fig. 2 |
Fig . 3 | Fig. 4 |
Ecco che dall’analisi iconografica dell’ideogramma si può passare alla sua sintesi semantica e iconologica: “il germe del(l’azione del) cielo sul trimundio”, ossia la potenzialità dell’azione ordinatrice di impronta celeste nel triplice ambito della manifestazione.
Ora la sintesi iconologica dell’ideogramma illustra in modo chiaro il principio dell’azione celeste sul cosmo, concepito come tripartito; e la manifestazione cosmica triforme costituisce un archetipo diffuso anche nelle altre tradizioni – indoeuropee o meno – e che accompagna, come abbiamo accennato sopra, lo stesso sviluppo della pietas romana. La diffusione di un tale archetipo è ad un tempo la chiave della sua fruibilità in seno a civiltà differenti, nonché garanzia di possibile comunicazione tra culture anche distanti, l’ordo nel quale
si può intessere una trama; a tal riguardo verranno ora tratteggiate alcune sue vestigia in differenti tradizioni.
Tracce dell’archetipo triforme.
Il significato di rei (il cinese li) sopra evidenziato prova indubbiamente un’origine sacrale del termine. Esso inoltre trova un curioso riscontro (nonché assonanza) nella radice arcaica indoeuropea ri a significare il “ritmo”, “andamento”, il “corso” universale (cfr. rita in Vedico, arta/asha in Avestico, orior, ritus e forse anche ordo in Latino).
Se l’universo manifestato è un “trimundio”, un tribhuvana (nel mondo indiano formato rispettivamente da svah/svarga, il cielo, bhuvah/antariksha, il mondo intermedio e bhur/bhumi, la terra), ossia se la manifestazione avviene secondo una triplice forma, ecco che anche il suo spiegamento deve implicitamente suggerirlo; significativamente, dalla radice ri si generano nella lingua vedica (progenitrice del Sanscrito) una serie di esiti indicativi, se esaminati da una tale prospettiva (schema 1), come vedremo di seguito:
- con il termine rita (un semplice participio passato della radice verbale ri, affine al Latino ritus) si intende “il corso della natura” o “ordine generale del cosmo”, “la legge divina” ovvero “il giusto culto da tributare agli dei”, “la retta condotta dell’uomo”, ciò che nella tradizione posteriore indiana (e in Sanscrito) sarà designato dal termine dharma.
Similmente, nella tradizione avestica del vicino Iran, il termine arta/asha sta ad indicare fondamentalmente l’ordine cosmico, la giustizia, simboleggiato poi nel Mazdeismo posteriore da Asha Vahishta, “l’Ordine o la Rettitudine Ottima”, uno dei sei Amesha Spenta. In questo caso è evidente nelle due tradizioni (vedica e avestica) la derivazione da un prototipo concettuale e linguistico comune.
- con un semplice cambio della vocale finale otteniamo la parola ritu che significa in origine “il tempo adatto ritualmente”, affine al greco kairòs, e passa poi a designare “periodo di tempo prestabilito”, “stagione” (significato con il quale è ancora adoperato nella lingua moderna indiana). Similmente, nello zoroastrismo si parla dei supremi “giudici”, ratu, considerati degli archetipi, la concezione dei quali permarrà addirittura nella filosofia islamica di Sohravardi e Avicenna. Essi derivano il loro nome dallo stesso termine indiano e costituiscono l'ordito del mondo: la sua contemplazione complessiva come “tutti-gli-dei” (vedico vishve devah) è detta di “tutti i Ratu” (Vispe Ratavo) .
- dall’ampliamento della radice ri nella radice secondaria, rin, si forma il sostantivo rina (affine al Latino reus) che significa “mancanza”, “carenza”, “debito”.
Questo ultimo concetto risulta, se analizzato, altamente esplicativo dell’archetipo triforme che soggiace alla natura del cosmo: la condizione ontologica dell’uomo in India è contrassegnata da tre “debiti” contratti al momento della nascita, ossia il deva rina, “debito verso gli dei” (che il bravo bramino estingue mediante l’effettuazione dei riti previsti), il muni rina, “debito nei confronti dei maestri” (che si estingue grazie all’apprendimento dei Veda) e il pita rina, “debito verso il padre” (che può essere rimesso mediante la celebrazione dei riti funebri).
I tre termini qui presentati sono tutti indiscutibilmente legati all’idea di un kosmos, di un ordine (rita), che procede (ri) nel tempo secondo un ritmo (ritu), e a questo triplice ordine l’uomo soggiace (rina) in modo anch’esso triplice (deva rina, muni rina e pita rina).
Della triplice modalità che assume la manifestazione e l’operato dell’essere umano per favorire il contatto con gli dei – prova ne sia per esempio il significato etimologico del termine cultura – si hanno evidenze nelle differenti tradizioni.
Nella tradizione mazdaica, l’Arda Viraz Namag (testo redatto tra il IX e il X secolo d.C.) cita testualmente (capp. 7-9) la dimora celeste paradisiaca suddivisa in tre sfere (denominate stellare, della luna e del sole) che attende i giusti appartenenti a una delle tre classi sociali nelle quali la società iranica (e indoeuropea) era tradizionalmente suddivisa.
Il coronamento dell’esistenza condotta rettamente - ossia secondo le norme dell’ordo universale - passa dunque, nella comunità, attraverso una triplice suddivisione delle funzioni sociali, così come già riconosciute da Dumézil.
Qualche secolo prima (II secolo d.C.), Plutarco, nella sua investigazione del fato, ne aveva descritto la sua essenza (ousìa) come “anima triplice del cosmo” (kosmou psychè trìke); le tre anime del cosmo vengono chiamate rispettivamente “stabile”, “nomade” e “fondata sulla terra”, mentre sempre triforme presenta la cosiddetta “provvidenza” (prònoia); essa si presenta rispettivamente come “dell’intelletto e della volontà di Dio” (theoù nòesis kai boùlesis), “degli dei secondari vaganti nel cielo” (deutéron theòn tòn kat’ourànon iònton ) e dei “demoni legati alla terra” (òsoi perì gèn dàimones tetagménoi).
Riflessi di una tale suddivisione triplice sono presenti anche nella cultura nipponica, sebbene in contesti specifici, quali quello del pegno divino nei confronti della casa imperiale nipponica, costituito dal triplice tesoro imperiale, e quello del culto dei defunti.
Riguardo il triplice tesoro imperiale (sanshu no shinki), ricordiamo che esso consiste di uno specchio (yata no kagami), una spada (kusa nagi no tachi) ed una collana (yasakani no magatama). Il possesso di questi tre oggetti addirittura “prova la legittimità dell’Imperatore”.
A proposito del culto degli antenati, come ci ricorda uno studioso giapponese «sono in uso tre specie di adorazione di Antenati: cioè, la adorazione del Primo Antenato Imperiale da parte del popolo, la adorazione del dio tutelare della località […] e la adorazione degli antenati di famiglia da parte dei membri della casa.»
Da questa breve rassegna, risulta chiaro che tracce dell’archetipo triforme si trovano diffuse in molte tradizioni; in tutte la triplice suddivisione comprende categorie analoghe (schema 2): 1. piano divino, principiale, stabile, causale; 2. piano intermedio, mobile, celeste, corrispondente alle autorità comunitarie; 3. piano ctonio, sostanziale, necessitato, collegato con gli avi individuali.
mercoledì 3 marzo 2010
GLI SCIENZIATI
Non seguo le notizie sulla Tv, ma ascolto molto la radio e din questi giorno ho fatto una vera e propria indigestione di totale mancanza di buon senso ascoltando trasmmissioni radiofoniche.
Eppure la radio l'ho sempre considerata qualitativamente migliore come canale di informazione, ma ormai, l'ultima parole ovunque è quella dello SCIENZIATO.
Gli "Scienziati" detengono il massimo della cosiderazione pubblica e possono determinare con indiscusso consenso cosa è giusto e sbagliato per tutto l'universo creato.
Loro e solo loro attraverso complicatissime nonchè sconusciute ricerche arrivano a dire cose tipo:
Il nucleare è pulito,
gli ogm aiutano il miglioramento della nostra qualità di vita in termine di nutrizione e di sanità
e noi, il popolo non scienziato deve senza alcuna possibilità di replica accettare queste sentenze.
Noi, in realtà, non possiamo neache più avere una propria opinione, neppure un proprio pensiero riguardo termini come Nucleare o Ogm perchè non siamo degli scienziati e quindi voce in capitolo Zero, non possiamo in alcun modo comprendere queste tematiche, insomma siamo tutti dei grandissimi ignoranti ed è bene che gli ignoranti stiano zitti.
In pratica col tempo le persone hanno lasciato a terzi la possibilità di decisione su fatti fondamentali della nostra vita, a terzi vengono date le decisioni politiche a terzi è affidata l'istruzione, a terzi addirittura la cura della nostra salute e così via.
Quindi cosa siamo noi (non scienziati, non politici, non opinonleader) ??