giovedì 2 agosto 2012

In Ruanda un sabotaggio inatteso




Veronica Vecellio ha affermato che la velocità nel manomettere le trappole può far pensare che non sia stata la prima volta che i gorilla compivano queste azioni, ma nonostante non si fossero mai viste scene simili non ne è rimasta stupita. Alcuni silverback del clan Kuryama rimasero in qualche occasione intrappolati, per questo la Vecellio pensa che i giovani gorilla abbiano imparato quanto siano pericolose le trappole.
“Ecco perché le hanno distrutte” continua la Vecellio.
Il veterinario del centro Mike Cranfield, anche lui non stupito dalla notizia, afferma che i gorilla possono aver imparato a distruggere le trappole osservando i lavoratori del centro e in modo scherzoso continua dicendo che potrebbero istruire i gorilla a disattivare le trappole.
“Sarebbe contro l’etica della nostra struttura fare questo, cerchiamo il più possibile di non interferire con i gorilla. Non vogliamo pregiudicare i loro comportamenti naturali” conclude la Vecellio.


Pochi giorni dopo la morte di un membro del loro branco a causa del lazzo di un bracconiere, un gruppetto di gorilla di montagna è riuscito a mettere fuori uso alcune trappole poste all’interno del Parco Nazionale dei Vulcani.

Questa straordinaria scena è stata vista e documentata dall’equipe del Dian Fossey Gorilla Fund’s Karisoke Research Center, un centro di ricerca, situato all’interno del parco, che si occupa della salvaguardia e protezione dei gorilla.

Veronica Vecellio, coordinatore del programma afferma di non aver mai visto prima un fatto del genere, ed essendo questo il più autorevole centro per l’osservazione al mondo dei gorilla selvatici c’è da crederci.

Ma poco importa se sia stata la prima volta o no, noi vediamo quanto accaduto come un’ulteriore conferma del fatto che gli animali sono esseri senzienti, dotati di intelligenza, amor proprio, verso i propri simili e perché no, altre specie.

Il Parco Nazionale dei Vulcani è una vasta aerea forestale nel nord-ovest del Ruanda, di eccezionale valore naturalistico, dove abitano tantissimi mammiferi e un’incredibile varietà di uccelli. Questo parco, che confina con altre zone forestali del Congo e dell’Uganda, ospita gli ultimi gorilla di montagna rimasti sulla terra, circa 700 individui.

Qui i gorilla sono minacciati (come le altre specie) dalle trappole posizionate dai bracconieri per la cattura di antilopi e altri erbivori; vi rimangono intrappolati principalmente giovani esemplari perché gli adulti sono in genere abbastanza forti per rompere i lazzi e liberarsi da soli. Migliaia sono le corde e le trappole che insidiano gli animali in questa foresta.

IL CASO  La scorsa settimana un cucciolo di gorilla di nome Ngwino (i primati sono tutti censiti e tutti hanno un nome) è rimasto intrappolato ed è morto nel tentativo di liberarsi da una trappola. Sembra che i cacciatori non abbiano alcun interesse per questi animali, anche quelli di piccole dimensioni, facili da trasportare e da vendere vengono lasciati sul posto a morire.

Alcuni giorni dopo questa ennesima morte, John Ndayambaje un lavoratore del Karisoke Center in compagnia di alcuni turisti, era in perlustrazione per disattivare e distruggere le trappole lasciate dai bracconieri quando, arrivati nel territorio di Kuryama (gorilla capo di un clan) vide un lazzo e si avvicinò per disinnescarlo. A questo punto Vubu, un gorilla silverback (maschio adulto) grugnì per far capire alla spedizione di starsene alla larga.

Improvvisamente due giovani esemplari di 4 anni, Dukore (femmina) e Rwema (maschio) si fiondarono sulla trappola ed iniziarono il lavoro di disattivazione: il maschio saltò su un ramo piegato che era parte della costruzione della trappola e lo spezzò, mentre Duroke liberò il cappio.
Dopo questa operazione i gorilla si allontanarono verso un’altra trappola dove con l’aiuto di un terzo gorilla più adolescente, di nome Tetero, distrussero anche questa.
 
FonteNational Geographic
 
Il centro di ricerca Dian Fossey Gorilla Fund’s Karisoke Research Center è stato fondato nel 1967 da Dian Fossey, figura di rilievo nello studio e protezione dei gorilla. Il suo impegno fu da subito volto a preservare i gorilla dalla minaccia dei cacciatori che al soldo degli zoo europei intrappolavano e spedivano nel vecchio continente giovani esemplari da esibire.
Dian Fossey affermò che guardare gli animali in gabbia in uno zoo non era etico, e si appellò alla Comunità Europea per modificare le regole di cattura degli animali.
Nel 1985 la Fossey fu brutalmente uccisa nella sua capanna nel Parco dei Vulcani dalla stessa arma usata dai bracconieri per uccidere i gorilla una volta intrappolati. La più probabile causa del suo omicidio risiede nella sua sfrenata difesa dei gorilla e nella volontà di preservarne gli habitat dal turismo.

martedì 31 luglio 2012

ART 41 Costituzione Italiana

 Questa mattina ascoltando Prima Pagina (rai radio 3) un ascoltatore poneva l'attenzione sull'art. 41 della costituzione italiana che riporto qui di seguito :

Art. 41.

L'iniziativa economica privata è libera.
Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.

Lo stesso ascoltatore proponeva in base all'articolo di qui sopra, la possibilità per il sindaco di Torino di rimuovere Marchionne dalla guida dalla Fiat.

Dubitando altamente delle scarsissime qualità dell'attuale Fassino, resta un punto di riflessione interessante.


martedì 26 giugno 2012


venerdì 6 aprile 2012

Antonio De Falco

martedì 27 marzo 2012

LAVORARE NON CONVIENE PIÙ. PER MOLTI.

DI VALERIO LO MONACO
ilribelle.com

La domanda alla quale vogliamo tentare di rispondere in questa circostanza è la seguente: ha ancora senso lavorare? Ancora meglio: è ancora utile farlo? Beninteso, stiamo parlando, ovviamente, del lavoro salariato, e possiamo anche restringere ancora di più il quesito, cercando di trovare una linea di confine al di sotto della quale la risposta potrebbe non essere così scontata come invece a prima vista la maggioranza dell'opinione pubblica crede. In questo caso il punto diventa: quale è il limite al di sotto del quale lavorare non solo è avvilente, ma nei fatti diventa anche controproducente.

Il motivo di tale domanda è molto semplice: molti pensano che quando scriviamo di pensare realmente a cambiare il proprio modus vivendi, di spostarsi, cambiare attività e in senso generale cercare di crearsi un nuovo paradigma - anche pratico - per sopravvivere, parliamo di utopie che sono al di fuori della realtà. Come vedremo, in molti casi, è molto più al di fuori della realtà rimanere in alcune condizioni piuttosto che prendere seriamente in esame un cambiamento radicale di vita.

Un lavoro, in teoria, dovrebbe consentire di soddisfare, per il lavoratore, almeno tre ambiti: economico, pratico, psicologico. Ovvero esistenziale.

Dal punto di vista economico dovrebbe garantire quanto meno di poter arrivare, proprio dal punto di vista numerico, alla piena sussistenza ogni mese. Il che significa che deve essere necessario, se non a consentire di risparmiare economicamente qualcosa per le incertezze che in ogni caso il futuro porta con sé, quanto meno a pagare i conti necessari ad avere l'indispensabile. Alloggio e vitto, e spese accessorie collegate. Come vediamo, stiamo parlando proprio del minimo indispensabile.

Dal punto di vista pratico dovrebbe consentire di soddisfare alcune necessità, ma sopra a tutte una: poiché il tempo che il lavoro sottrae alla vita di tutti i giorni non può, siccome non abbiamo il dono dell'ubiquità, essere utilizzato per svolgere altre attività, il guadagno economico che si trae da una giornata lavorativa deve quanto meno servire a poter acquistare una serie di cose e servizi che non possiamo svolgere da soli, per ovvi motivi di tempo. E questo, sia chiaro, ancora prima di entrare nel merito del fatto che sia giusto o meno, positivo o negativo, scegliere di lavorare per acquisire denaro per comperare cose che invece si potrebbe fare da soli.

Dal punto di vista psicologico dovrebbe infine almeno poter garantire di vivere una esistenza che dal punto di vista emotivo possa scorrere senza ansie o paure, per esempio quella, sempre più diffusa nella nostra società, di riuscire a soddisfare le proprie necessità. Ma ancora: visto che il lavoro occupa non solo la maggior parte delle giornate, ma in senso lato la maggior parte della propria vita, dovrebbe essere essenziale pensare come imprescindibile il fatto che il lavoro che si svolge debba essere scelto e preferibile rispetto a un altro. Fare un lavoro che non solo costa fatica (il che è anche normale) ma che non piace e che magari reca profondi scontenti, equivale a passare la maggior parte della propria vita a fare una cosa controvoglia. In altre parole, a soffrire, soprattutto emotivamente, per tutto il corso della propria vita lavorativa (il che equivale, oggi come oggi, sino quasi alla morte).

È logico a questo punto fare un bilancio del proprio lavoro e verificare se questi tre ambiti sono soddisfatti, e come, oppure se siano in varia misura e combinazione più o meno disattesi. Ci sarà chi svolge un lavoro che non gli piace affatto, magari in un ambito che per propria inclinazione è diametralmente opposto al proprio sentire, ma che attraverso di esso soddisfa bene, diciamo ben oltre i limiti minimi che abbiamo indicato, gli altri due punti. Oppure chi in qualcuno di questi ambiti rilevi di essere ben al di sotto di un certo limite, ma che magari la cosa sia compensata in modo rilevante da almeno uno degli altri.

Ma esiste un caso in cui tutti i tre gli ambiti siano del tutto disattesi. In cui il lavoro che si svolge non consente di percepire uno stipendio in grado di far fronte alle mere indispensabili necessità economiche, in cui non lasci il tempo di fare altro e che apporti un profondo malessere al lavoratore.

Questo è, nel nostro modello e in modo particolare negli ultimi anni, il caso più diffuso. E presumibilmente, almeno leggendo i dati economici e sentendo le dichiarazioni stesse dei nostri governanti, sarà così a lungo. Molto a lungo: secondo Monti, ed è solo una previsione, in Italia abbiamo almeno "venti anni di regime controllato". È una situazione, dunque, che non è destinata a cambiare sensibilmente in positivo per un periodo molto lungo. Quanti anni avremo tra (almeno) venti anni?

Indichiamo un caso scuola, puramente esplicativo, che può però essere calibrato da ognuno variando i parametri relativi alla propria situazione, al luogo di residenza e alle proprie necessità. È un caso che conosciamo di persona, e non è uno dei casi limite. Le condizioni di vita e lavorative che andremo a descrivere sono di una persona che oggi può addirittura considerarsi fortunata, rispetto alla maggioranza dei lavoratori della sua stessa età, o giù di lì.

Trentotto anni, contratto a tempo indeterminato, 1000 euro al mese di stipendio netto, per 8 ore di lavoro dal Lunedì al Venerdì. Comune di lavoro Roma, e così la residenza.

Il nostro lavoratore è single, vive in un appartamento di 35 metri quadrati in affitto, per il quale paga 550 euro al mese più 100 di condominio. E più, ovviamente, le utenze.

Come si vede, abbiamo scelto una situazione che, per chi conosce il mondo del lavoro in una grande città o comunque può immaginare quanto accade oggi in una situazione analoga, è già ben al di sopra di tante situazione che invece sono, e di molto, peggiori.

Per raggiungere il posto di lavoro, il nostro soggetto utilizza un motorino, e impiega circa 35 minuti per andare e lo stesso tempo per tornare.

Ebbene questa persona, pur avendo un contratto a tempo indeterminato nel settore privato, per riuscire ad arrivare alla fine del mese deve svolgere necessariamente un secondo lavoro (nel caso, un paio di serate in un locale).

Il motivo è semplice, tra affitto e utenze, assicurazione per il mezzo e la benzina, ciò che le resta non è sufficiente a poter comperare la quantità di cibo - meramente: il cibo - che le necessita per arrivare a fine mese. E non parliamo di altre cose: vestiario, oggetti di altro tipo, spese impreviste, svago.

Ma il punto non è solo meramente numerico. Il fatto è che le sue giornate iniziano alle 8 e terminano alle 19, spostamenti inclusi, tranne i giorni in cui lavora anche la sera, soprattutto nel fine settimana.

E ancora, in modo determinante, questa persona, in ogni caso, non è in grado di poter accedere a nulla di ciò che Roma "offre", come la varietà di cinema e teatri, concerti ed esposizioni culturali, ristoranti, locali e più in generale tutto ciò che non sia lavoro e che (per chi apprezza) è possibile avere in una grande città: non ha denaro a disposizione per potersi permettere qualcosa. In pratica non può accedere a nulla per cui valga la pena vivere. Può solo lavorare per (tentare di) arrivare alla sopravvivenza sino alla fine del mese.

Ultimi tre punti. Il primo: svolge un lavoro impiegatizio che non le offre alcuna soddisfazione personale, che mediamente la annoia per otto ore ogni giorno e la impegna per nove ore o più. Il secondo: ha da poco scoperto che, nella migliore delle ipotesi - ovvero che l'azienda per la quale lavori non ceda alla recessione e sia costretta a licenziare, e che nel frattempo non occorrano altre manovre per la previdenza - potrà andare in pensione tra non meno di venticinque/trenta anni. Il terzo: non c'è alcuna possibilità all'orizzonte, mediamente logica o sulla quale puntare (che non sia una mera speranza) che le cose possano cambiare in meglio.

In sintesi: conduce una vita da schiavo - pur se in condizioni certamente migliori di tantissime altre - per riuscire a malapena ad arrivare alla fine del mese (quando non ci arriva si appoggia, anche solo per il vitto, a una rete di familiari) il più delle volte facendo i conti al millimetro, lavorando circa cinquanta ore a settimana in totale (tra primo e secondo lavoro) per fare cose dalle quali non trae neanche alcuna soddisfazione psicologica, senza poter godere nulla di ciò che una città come Roma offre ma soffrendone tutte le difficoltà (traffico, inquinamento, prezzi alti per ogni cosa) e con una prospettiva di condurre una vita del genere per arrivare, forse, a percepire una pensione quando avrà le forze, e il denaro sufficiente, appena per fare una passeggiata ai giardini comunali.

Nulla, a nostro avviso, vale un sacrificio simile. E stiamo parlando, ribadiamo, di una situazione infinitamente migliore di quella della maggior parte dei lavoratori della sua età, o poco più giovani. Ovvero della situazione lavorativa della generazione attuale e di quelle prossime.

Esiste dunque un limite minimo - anche se differente dal punto di vista del "quanto" in base al luogo in cui si vive, ad esempio se in una grande città oppure in provincia - al di sotto del quale lavorare diventa controproducente. Ed è, come abbiamo visto, un ragionamento prettamente logico, numerico, pratico.

Volutamente non abbiamo affrontato in questa sede, ma lo faremo a breve, l'aspetto più prettamente emotivo e se vogliamo filosofico del concetto di lavoro. Ovvero, detto sinteticamente, il concetto di "senso" - direzione e significato - che il lavoro dovrebbe avere (rispetto a quello che la maggioranza delle persone fa e che invece, di senso, ne ha poco, in generale e per sé). Come detto torneremo sul punto prossimamente, per ora valga almeno una riflessione: svolgere un lavoro che impegna la maggior parte delle proprie giornate e percepire che tale lavoro non ha senso se non (e non sempre) nella misura unica del ritorno pratico, economico principalmente, equivale a dire che si sarà spesa la propria vita intera senza senso. Se questa considerazione valga poco o molto, ognuno può dire. In ogni caso, affronteremo il tema presto.

Tornando a noi, moltissimi tra i lavoratori attuali vivono proprio una situazione al limite, e molti sono direttamente al di sotto di tale limite: lavorano anche moltissimo senza riuscire a percepire uno stipendio in grado di garantirgli anche il minimo che un lavoro dovrebbe garantire.

Semplice deduzione impone dunque una seconda domanda: perché si continua a perpetrare una situazione che, in modo evidente, non è in grado di risolvere la propria esistenza? La risposta è purtroppo brutalmente frustrante: la maggior parte di chi vive una storia del genere, pur rendendosi evidentemente conto della situazione nella quale versa, preferisce continuare a viverla piuttosto che anche solo ipotizzare la possibilità di imprimere un cambiamento radicale. Di più: molti vivono costantemente nella speranza illusoria che qualche cosa possa cambiare. Per quale motivo, vista la situazione, non è dato sapere.

È come essere una squadra di calcio che gioca una partita evidentemente truccata, in cui ogni minuto l'altra squadra segna dieci reti, e al momento il risultato è di 70 a 1, e però pensa ancora che siccome la palla è rotonda possa accadere qualcosa di non meglio precisato in grado di far invertire la tendenza e sperare almeno in un pareggio quando invece, chiaramente, l'unica cosa da fare sarebbe lasciare il campo in segno di protesta e andarsi a trovare una nuova partita, un nuovo campionato non truccato.

E invece no, malgrado tutto, si continua a stare alla macina. Malgrado l'evidenza si continua a disperdere tutti i giorni della propria vita per stare al gioco di chi non ha altro obiettivo di continuare a farci stare al (loro) tavolo da gioco.

Capire la situazione, rinunciare a credere all'impossibile, e decidere di imprimere un cambiamento alla sfera della propria vita, con tutto quello che questo comporta, naturalmente, è dunque un atto di ribellione. Che ovviamente non è per tutti, anche se, se fosse applicato da un numero elevato di persone e di popoli, sarebbe in grado di innescare ciò di cui ci sarebbe reale bisogno, ovvero una rivoluzione.

In ogni caso, posto che i dati sono questi, e la dimostrazione non è negoziabile, non è che si hanno poi molte altre scelte: o si continua a ignorare la realtà, oppure la si affronta, e se si ha coraggio, si scelgono altre strade. Per quanto inesplorate possano essere. Da una parte c'è una strada certa, e sappiamo senza possibilità di essere smentiti di che tipo è, cosa comporta, e molto probabilmente che non si modificherà, almeno nel corso della nostra vita. Dall'altro lato la possibilità, almeno la possibilità, di trovare altro. A ognuno la scelta, e ora. Non quando la vita sarà passata.

Valerio Lo Monaco
www.ilribelle.com
20.03.2012

martedì 28 febbraio 2012

Gran Bretagna, alcuni medici somministrano di nascosto il vaccino MMR

La notizia appare sull'edizione on line del dailymail (Doctor -giving MMR 'by stealth'):
I medici di famiglia sono stati accusati di somministrare di nascosto il vaccino MMR (parotite, morbillo, rosolia) a bambini che vengono nei loro ambulatori per ricevere altri tipi di vaccini.
Almeno 50 genitori inorriditi si sono lamentati che il propriomedico di famiglia ha 'erroneamente' somministrato ai loro figli il vaccino combinato contro parotite, morbillo, rosolia. (...)

Tale vaccino è temuto per le possibili connessioni con l'autismo e la sindrome del colon irritabile, il che ha portato ad un calo delle somministrazioni, che adesso sono intorno all' 82 per cento su scala nazionale. A Londra la percentuale è precipitata al 67.5 per cento, ingenerando paure di epidemie di morbillo. (...)

I medici di famiglia ricevano un pagamento extra se riescono a vaccinare il 90 per cento dei loro bambini ma quelli che non raggiungono l'obiettivo - anche di un solo bambino - possono perdere più di 2.000 sterline all'anno. (...)

A una madre sconvolta pare sia stato detto da una infermiera che aveva appena somministrato il vaccino MMR senza consenso 'Eravate sulla nostra lista delle persone cui somministrare il vaccino MMR.' (...)

Un portavoce del ministero della salute ha detto: 'Nessun bambino dovrebbe essere vaccinato se i genitori non hanno dato il loro consenso. Nessuna delle vaccinazioni per l'infanzia disponibili in Gran Bretagna è obbligatoria.'
Sui danni da vaccinazioni contro parotite, morbillo, rosolia e sulla loro inutilità (ci sono state diverse epidemie che hanno colpito proprio le persone vaccinate) vedi i seguenti link




Sulle strategie mondiali che vogliono portare alle vaccinazioni per i bambini senza il consenso dei genitori vedi vaccinating-without-parental-knowledge (che a presto spero di tradurre).

In particolare ricordiamo quanto segue:


Quaranta bambini sono morti dopo una vaccinazione di routine con MMR (Morbillo, Parotite e Rosolia) e 2.100 hanno subito una reazione post-vaccinale grave. Le autorità sanitarie del Regno Unito sono state costrette a divulgare questa notizia in settimana - e queste cifre sono solo la punta dell'iceberg.

... e poi ...

Fonte : la scienza marcia e la menzogna globale

martedì 14 febbraio 2012

Shikin Haramitsu Daikomyo




SHI-KIN HARA-MITSU DAI-KO-MYO significa:


Shikin

Un saluto, sensazione di armonia, percepito dal cuore.

Haramitsu
La Saggezza che proviene dal coraggio e lo sforzo che favorisce la sincerità, la lealtà e la fedeltà.

Daikomyo
Portare rispetto e fiducia, illuminazione dall'interno verso l'esterno.

Nel loro insieme:
Ogni incontro è sacro e potrebbe presentare una chiave per potenziale la perfezione della grande illuminazione universale che cerchiamo.


Shikin Haramitsu Daikomyo ha molte traduzioni e non può essere tradotto direttamente in inglese. Una interpretazione è, "Un momento di vera interazione tra la mente e lo spirito può portare verso l'illuminazione".

Fondamentalmente, ogni esperienza alla quale vado incontro ha il potenziale per essere quella cosa che ti porta verso l'illuminazione. Si potrebbe anche dire che ogni momento è un'esperienza di apprendimento.


TUTTO QUELLO CHE FACCIO SIA DI AIUTO A DARMI LA CHIAVE PER L'ILLUMINAZIONE

Kuji Kiri

Kuji Kiri




IL KUJI KIRI
Il Kuji kiri è una delle 12 pratiche quotidiane del Gyo-ja nel Buddhismo esoterico Tendai. Essendo una pratica quotidiana, il suo scopo principale, di cui si parla in questo articolo, è di DIRIGERE E FOCALIZZARE le nostre energie, la nostra intera essenza verso lo scopo o l'obbiettivo prefissato.
Ade esempio, per richiamare a noi quelle qualità che per qualche ragione, abbiamo dentro di noi ma non riusciamo ad esternare.
Lasciamo perdere quindi fantasticherie su abracadabra vari!
Ognuna delle parole che compongono i 9 tagli del Kuji-kiri ha un significato preciso e nella globalità sono giuramenti, voti, atti a indirizzare la nostra volontà al miglioramento totale.
Il rituale inizia ponendo le mani nella posizione di "spada e fodero" (vedi immagine), e puntando le dita della "spada" verso la fronte, all'altezza del 3°occhio per intenderci. Ora dobbiamo focalizzare il nostro obbiettivo davanti a noi e nella nostra mente, ad esempio il tipo di qualità che vorremmo avere, l'immagine rappresentativa del tipo di qualità che vorrei richiamare a me: Importante, se ad esempio l'immagine di un Nyorai non lavora bene con la mia cultura e personalità, allora posso usarne un'altra che per me esprima la stessa cosa.
Quindi si recita il mantra di Fudo-Myo. E' un pò complicato da imparare bene a memoria, ma per semplicità potete pronunciarne la "versione breve", dicendo "KANMAN!".Eseguite ora i nove tagli con la vostra "spada",tenete sempre a mente il vostro obbiettivo e "tagliate" muovendovi sul posto come se aveste una vera lama.
Il 10°taglio viene eseguito da destra a sinistra in diagonale. Può essere pronunciato come "AH-UM!"oppure come "SHO-UH!". Adesso rinfoderate la "spada", alzate entrambe le mani sopra la fostra testa e poi riabbassatele hai lati, per liberare le energie accumulate.
Complimenti,avete eseguito il vostro primo, vero, kuji-kiri.
Vediamo singolarmente ogni Mudra Kuji Kiri.


RIN: La forza della mente e del corpo .

PIO: Direzione dell'energia

TO: Armonia con l'univers

SHA: Guarire se stessi o gli altri

KAI: Premonizione del pericolo

JIN: Lettura dei pensieri altrui.

RETSU: Padronanza del Tempo e dello Spazio

ZAI: Controllo sugli elementi della Natura

ZEN: Illuminazione

venerdì 13 gennaio 2012

Una teoria sociale ed evolutiva delle malattie umane e del dolore cronico

DI DENIS RANCOURT
Dissident Voice

Ci piace coltivare una nostra immagine della specie per cui siamo radicalmente differenti da formiche e api. Questa è l’idea. Formiche e api sono automi completamente governati da segnali chimico-fisici e ogni singolo individuo nella colonia ha il suo preciso posto che determina le sue caratteristiche fisiche, adattate alla funzione della sua classe.

Distinguiamo queste colonie di insetti dai mammiferi, che immaginiamo avere un livello molto più elevato di individualità. Ci piace pensare a mandrie o branchi di mammiferi come individui che “scelgono” di unirsi e cooperare. Generalmente non ammettiamo che le caratteristiche anatomiche siano associate alla classe, in gerarchie di dominanza sociale.

Ma gli esseri umani, i primati, le formiche e le scimmie potrebbero essere molto più vicini di quanto non siamo disposti ad ammettere, dunque facilmente capaci di percepire.

Esiste un settore della ricerca scientifica che indica quanto possiamo essere in errore. È lo studio sugli effetti della gerarchia di dominanza sulla salute dell’individuo. Si è scoperto che nei mammiferi e negli uccelli, per esempio, la salute dell’individuo, salvo incidenti, è principalmente dovuta alla posizione dello stesso nella gerarchia di dominanza sociale (1,2,3). Bisogna porre “primariamente” l’accento su questo come di gran lunga il fattore più importante, che ha un diretto impatto biochimico e fisiologico (1).

La gerarchia di dominanza nei gruppi di scimmie, per esempio, determina la fertilità, la resistenza alle malattie, il vigore e la longevità dell’individuo.

Ora, la scoperta della gerarchia di dominanza come determinante la salute dell’individuo è un paradigma stabilito, se la medicina possa mai essere in grado di riconoscerlo (3), al pari della tettonica a zolle nelle scienze della terra, della meccanica newtoniana in fisica e dell’evoluzione in biologia; ma tutto ciò conduce ad una domanda: perché?

C’è un vantaggio evolutivo, per i mammiferi ad esempio, nel soffrire di gravi effetti sulla salute in una gerarchia di dominanza intraspecifica? In caso contrario, come è sopravvissuta nella scala evolutiva la vulnerabilità della salute dell’individuo alla gerarchia di dominanza sociale? C’è un uso o un bisogno di tale vulnerabilità alla dominanza in termini di sopravvivenza della specie, o è semplicemente una reminescenza arcaica o di evoluzione cellulare?

Una prima occhiata suggerirebbe che la specie umana non può, per esempio, in alcun modo beneficiare dall’avere individui la cui salute è materialmente e negativamente colpita dalla gerarchia di dominanza sociale. Ma questa conclusione è corretta?

Io credo di no.

Qual è la specie animale, dotata di sistema nervoso importante, di maggior successo sulla Terra, sia in termini di numero di individui e biomassa totale che in termini di impatto trasformativo sulla biosfera? Risposta: le formiche (4). E i grandi mammiferi di maggior successo? Gli esseri umani (5). Entrambi vivono in società altamente gerarchizzate.

Qual è la biologia che sostiene una società altamente gerarchica di mammiferi? L’individuo deve accettare il suo posto. La competitività a tutto campo di individui di pari livello (come una rissa da bar) è la ricetta per un disastro e non porta ad alcuna gerarchia altamente suddivisa. Individui vigorosi che sono e si percepiscono ugualmente forti non si organizzano spontaneamente in una gerarchia di dominanza stratificata.

Se sei e ti senti angosciato dall’essere dominato, non reagisci. Accetti il tuo posto. La specie è felice di avere orde di individui poco sani che moriranno giovani dopo aver speso i loro giorni a fare il lavoro sporco. Quale miglior modo per suddividere in classi una specie di successo?

L’impatto sulla salute individuale gioca anche un altro ruolo chiave, oltre a fornire il feedback per la suddetta stratificazione sociale. Fornisce un meccanismo necessario di auto-distruzione per gli individui che non rientrano più o escono fuori dai canoni di docilità e conformità.

In una società altamente suddivisa gli individui che non funzionano devono essere eliminati o diventano una forza distruttiva contro la gerarchia. La polizia e le prigioni non sarebbero sufficienti per raggiungere questo scopo senza la intrinseca vulnerabilità individuale alla gerarchia di dominanza.

Quando l’individuo cerca di uscirne e percepisce che non c’è alcun modo, si autodistrugge, piuttosto che esplodere, nella maggior parte dei casi. Ciò è chiamato cancro e malattie cardiache. Prevengono la furia distruttiva dell’individuo disilluso e portano a una fine naturale al termine del ciclo individuale di utilità per la gerarchia, alla specie.

Nessuna meraviglia che gli anarchici siano così pochi e lontani! Ma come ogni sistema guidato da feedback positivi, è intrinsecamente instabile (6).

Note:

1. “L’influenza della gerarchia sociale nella salute dei primati (recensione)” di Robert M. Sapolsky, Science, 308, p. 648-652, 2005 (e relativi riferimenti)

2. “La cultura anti-fumo è dannosa per la salute: il vero problema della gestione della salute pubblica”, Denis G. Rancourt, 2011

3. “La medicina ufficiale è una truffa dannosa?”, Denis G. Rancourt, 2011

4. “L’utilizzo dei combustibili fossili è una significativa attività planetaria?”, Denis G. Rancourt, 2010

5. “L’intelligenza collettiva non implica intelligenza individuale: la tecnologia non proviene dai geni”, Denis G. Rancourt, 2011

6. “Le istituzioni costruiscono gerarchie tra politico-culturali ri-normalizzazioni”, Denis G. Rancourt, 2011

Denis G. Rancourt è stato professore di ruolo in Fisica presso l’Università di Ottawa, in Canada. Ha esercitato in vari settori della scienza, finanziati da un’agenzia nazionale e ha guidato un laboratorio riconosciuto a livello internazionale. Ha pubblicato oltre 100 articoli nelle principali riviste scientifiche. Ha sviluppato corsi di attivismo popolare ed è stato un critico aperto dell’amministrazione universitaria e un difensore degli studenti e dei diritti del popolo palestinese. È stato licenziato nel 2009 a causa della sua dissidenza da un presidente convinto sostenitore della politica israeliana.

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Fonte: A Theory of Chronic Pain

26.12.2011