lunedì 16 marzo 2009

Hikkimori

La loro vita si svolge entro il perimetro ristretto della loro stanza. Lo sguardo spazia fra cumuli di manga, dojinshi (riviste incentrate sul mondo dei personaggi dei fumetti giapponesi), action figures e pupazzetti dei protagonisti preferiti. Gli occhi sono fissi su uno schermo, a seguire gli anime, a giocare a qualche videogioco o chattare con qualche altro inquilino del loro mondo. E’ un mondo a cui la vita vera non ha accesso, che ha tagliato fuori tutti gli altri che ai loro riti non partecipano, non li comprendono.

Li chiamano hikikomori, e le uniche vicende che vivono sono quelle che trovano dentro un manga, i batticuore, la gioia, la rabbia, li conoscono e provano solo attraverso i personaggi che animano quelle storie, perché, quelli loro, unici e personali, li hanno lasciati fuori dalla soglia, prima di rinchiudersi nella loro stanza. In un’emozione, forse, si sono cristallizzati, ed essa risuona muta dentro di loro. E ogni contatto con l’esterno è reciso, il loro posto a scuola è un banco sempre vuoto, per la famiglia diventano fantasmi, non si vuole vedere nessuno, ed il cibo va loro lasciato sulla soglia, perché lo possano afferrare nell’ombra come cani randagi e furtivi, oppure lo troveranno di notte, quando tutti dormono, come sonnambuli, e si aggireranno per la casa come ladri attesi.

hikikomori_2Hikikomori, in giapponese, significa proprio “stare in disparte, isolarsi”. E’ un fenomeno che ormai ha assunto grandissime proporzioni in Giappone. E le famiglie non sanno come rimediare. Alla fine, assecondano quel loro figlio, prestandosi a lasciargli il pranzo e la cena sulla soglia, e allontanarsi perché si decida a far capolino, prenderlo, chiudersi di nuovo e mangiare, per poi ritornare a ritirare il vassoio vuoto.

Il fenomeno è soprattutto maschile, ma annovera anche molte ragazze. Si tratta in prevalenza di adolescenti e post-adolescenti. L’isolamento di un hikikomori può durare anche quindici anni e oltre. Nei casi più gravi vi può essere anche una totale identificazione con il personaggio d’elezione di un manga, come testimonia il caso di un ragazzo che si faceva vedere nella webcam solo con indosso abiti e parrucche del suo eroe. E l’universo di manga e anime non manca di fare riferimenti agli hikikomori: il caso più eclatante è “Welcome to the NHK” di Tatsuhiko Takimoto -nato come romanzo- tutto incentrato su questo mondo, e c'è persino un film italiano, “Hikikomori”, per l'appunto, di Marco Prati, uscito nel 2006.

hikikomori_3Il ritiro può avvenire all’improvviso o gradualmente. A scatenarlo può essere un insuccesso scolastico, malessere in famiglia o mancata accettazione da parte dei coetanei, se non episodi di bullismo. Un ruolo importante è anche quello svolto dalla società e dalla cultura giapponese, e spesso questo fenomeno è stato essenzialmente letto proprio come espressione di questo assetto socio-culturale: quella del Sol Levante è una società altamente competitiva, tendente all’omologazione, il lavoro -che nelle famiglie rende i padri assenti, a cui fanno da contraltare madri spesso esageratamente oppressive- è visto come valore primario, il sistema scolastico è basato su una grande severità, eccellere, avere successo è l’imperativo ineludibile, la pressione sociale, insomma, è insostenibile.

Non diventa difficile allora capire come ragazzi particolarmente sensibili o fragili, magari per l’appunto a seguito di esperienze vissute come traumatiche, scelgano di ritirarsi da questo ring, rinunciando a fronteggiare le difficoltà e a misurarsi con tali standard visti come irraggiungibili e ritmi insostenibili, ma rinunciando anche, nello stesso tempo, alla vita.

Tale lettura del fenomeno però è forse limitativa, dal momento che quello dei ragazzi che decidono di ritirarsi in punta di piedi dal mondo, si è scoperto, ormai, non è più un fenomeno solo giapponese. I numeri, certo, sono diversi: il Giappone superando il milione di auto-reclusi mantiene il primato, ma ad essere interessati ci sono anche Corea, Usa, Nord Europa, e figura anche nel nostro paese, nonostante non ci siano stime ufficiali. Ma gli psicologi hanno imparato a conoscere gli hikikomori nostrani.

La parola “hikikomori” fu coniata dal dott. Tamaki Saito, direttore del Sofukai Sasaki Hospital, quando si accorse del crescente numero di giovani che presentavano sintomi come letargia, incapacità di comunicare e totale isolamento. Il nostro paese è ben diverso da quello del Sol Levante, e non sarebbe azzardato dire che la risposta di questi giovani è compatibile anche con il mondo e la società occidentale, anche alla luce della recente crisi economica, nonostante la tendenza qui è di esprimere il malessere entrando a far parte di un gruppo in cui riconoscersi, cosa che in Giappone non conoscono.

“Mi sento vicina a quei ragazzi,così a pelle,in quanto non so le cause profonde della loro reclusione.anch'io sto chiusa in casa giorni.io lo faccio perchè il mondo di fuori mi spaventa.mi spaventano tutte le piccole e grandi atrocità del mondo (…)” scrive una ragazza italiana su un forum. Le fa eco un ragazzo anche lui italiano: “Ho vissuto per quasi 3 anni in totale assenza di contatti umani, semplicemente connesso ad internet e rinchiuso in pochi mq. (…) Lo stato di recluso è un sollievo perchè lenisce il dolore, ma allo stesso tempo anestetizza tutte le tue sensazioni umane, non ti ricordi più nemmeno come sia bella la felicità. Quando fai la scelta di non-essere entri in uno stato di ibernazione sensoriale. Percepisci il tempo come rallentato ma in realtà passa veloce, tutte le tue azioni sono ripetitive e senza nessuno scopo reale. Se hai la fortuna (io ringrazio Dio l'ho avuta) di trovare una persona che entra nel tuo pianeta fuori dallo spazio e dal tempo per riportarti alla vita, ti rendi conto di quanto dolore inutile ti sei causato.(…)”

Proprio per strappare questi ragazzi alla non-vita si è definito il programma dall‘eloquente nome “New start” che offre un alloggio in comunità e un programma di formazione-lavoro, con operatori che gradualmente si inseriscono nella vita del giovane per fargli intendere il suo essere utile e aiutarlo a rientrare nel fluire della vita.


Fonte : http://www.girlpower.it/mondo/societa/hikikimori.php

A voi i commenti...

4 commenti:

  1. Purtroppo tutti attraversiamo un momento di HIKKIMORI credo, più o meno celato.
    Bisogna però reagire, combattere e distinguere la realtà per quella che è, lontana dalla bambagia disegnata e scritta in questi inutili passatempi quali manga et similia...

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  2. Capisco perfettamente queste persone, poichè è proprio la fortuna di trovare qualcuno, anche solo al ivello di amici, che ti può tirare fuori dal baratro in cui ti può scagliare la vicenda umana in questo mondo schifoso.

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